lunedì 29 dicembre 2008

All’inferno e ritorno 1° parte

Dott.Carlo Gaudiano
Nei giorni in cui la Cristianità festeggia l’evento più rivoluzionario per l’intera umanità mi sembra opportuno raccontare la mia esperienza di medico a favore dei dannati moderni. Lo faccio non per commuovere ma per indignare coloro i quali credono che il mondo inizi e termini nel piccolissimo ambito terreno in cui è racchiuso il loro egoismo, “malattia” diffusissima nel mondo occidentale. Dedico queste riflessioni a chi si sente o vorrebbe essere buonista solo nei giorni del Santo Natale. Vorrei “trafiggere” la coscienza di chi, una moltitudine, sfrutta a vario modo la tragedia del mondo moderno: la migrazione di gente verso un miraggio .
Per dieci giorni ho operato a Lampedusa come operatore sanitario della protezione civile tramite l’Ordine dei Cavalieri di Malta che gestiva un progetto di accoglienza sanitaria in mare degli immigrati. Il progetto iniziato ad Aprile si è concluso il 31 ottobre dell’anno in corso.
Senza voler parafrasare il famoso film, sulla seconda guerra mondiale, “All’Inferno e Ritorno”,in quei giorni mi è sembrato di sprofondare nei più bassi degli inferi, per poi, ritornare alla “civiltà” di tutti i giorni. I “dannati” nella stragrande maggioranza, erano giovani tra i 20 e 30 anni che, per sfuggire alla miseria, alla guerra, alla persecuzione politica, alla sanità inesistente, intraprendono lunghissimi viaggi, spesso senza ritorno, per raggiungere, attraverso l’Italia, la terra dell’apparente bengodi. Viaggi avventurosi intrapresi su sgangherati mezzi di fortuna attraversando per migliaia di chilometri strade impervie e pericolose anche per la presenza di bande armate pronte a depredarli e massacrarli. Così in questa discesa negli inferi ho conosciuto giovani provenienti da Somalia, Eritrea, Ghana, Sudan, Nigeria, Egitto, Palestina, Iran, Iraq, tutti con la speranza di aver attraversare il” mar rosso”, per giungere nella” terra promessa”. La tappa finale in terra africana, generalmente, presuppone un bivacco sulle coste libiche, in attesa di partire per superare il Canale di Sicilia, braccio di mare che separa l’umanità tra chi muore in tenera età per mancanza di cibo e chi muore, per gli effetti sulle arterie, dell’abbondanza di cibo, tra chi non conosce alcuna libertà e chi ne fa un uso sfrenato della stessa fino ad arrivare al libertinaggio, tra chi muore per mancanza dei più banali farmaci e chi si può permettere di sostituire uno o più organi ormai “esauriti” con organi nuovi di “zecca”, dove i “donatori” in alcune circostanze sono gli stessi “dannati”, tra chi sopravvive con pochi euro al mese a costo di sacrifici e sfruttamento e chi in pochi minuti senza alcuna fatica e sacrificio guadagna quanto guadagnerebbe in una intera vita un “dannato”, tra chi muore per le bombe, per colpi d’arma da fuoco, per mine antiuomo e chi quelle armi le produce con enormi profitti. E’ proprio sulle coste della Libia, nei giorni di attesa per l’imbarco, che si consuma l’atto più indegno di sopraffazione umana: lo stupro di donne indifese da parte di carnefici che oltre a spogliarle economicamente le marchiano, in modo indelebile, nel fisico e nella mente. Quando finalmente le previsioni meteo e la disponibilità del mezzo(barcone o gommone) lo permettono finalmente l’imbarco e acceso il motore dell’Enduro Yamaha 48 cavalli, riforniti di qualche bidone di benzina, equipaggiati con un cellulare satellitare e una bussola si parte per la terra promessa, con un viaggio pieno di incognite e della durata variabile da poche ore a di diversi giorni. Partono spogliati di tutto, materialmente e spiritualmente, senza alcun bagaglio se non i loro poveri indumenti; alcuni di loro poi, per rifugiarsi dall’eventuale freddo notturno, si coprono con diversi strati di indumenti, strategia questa con un terribile rovescio della medaglia. Se per qualsiasi evento il barcone o il gommone dovesse rovesciarsi, gli strati di indumenti diventano una micidiale zavorra che facilita l’annegamento dei “dannati” che già di per se hanno poca esperienza nelle tecniche di galleggiamento.Partono incuranti e ignorando i pericoli che possono sopraggiungere e di come evitarli o affrontarli. Partono stipati come sardine, senza alcuna possibilità di muoversi, espellendo le scorie contenute nel retto e nella vescica nei propri indumenti, rimanendo così le feci e le urine a contatto con la cute delle cosce e dei glutei.

1 commento:

  1. Raccontalo a quel mezzo africano che dice che a Policoro no, per carità!!

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