1)
Luigi
De Magistris aveva ragione.
Dieci anni or sono all’incirca, Luigi
De Magistris, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Catanzaro, richiese ed ottenne il sequestro del complesso turistico denominato
Marinagri.
Un primo sequestro fu annullato. Un
secondo sequestro fu ritenuto legittimo dal Tribunale del Riesame e dalla Corte
Suprema di Cassazione che, con sentenza n. 38157/2008, relatore Iasillo,
Presidente Pagano, con approfondita motivazione rigettò il ricorso
dell’autorevolissimo avv. Paola Severino.
Affermò, il giudice di legittimità,
che le costruzioni erano da considerarsi illegittime in quanto la società
costruttrice non aveva provveduto all’innalzamento degli argini secondo le
prescrizioni date dalle autorità.
Sull’operato di De Magistris vi furono
provvedimenti disciplinari con il trasferimento a Napoli e successivamente, da
parte dell’interessato, l’abbandono della magistratura.
Nello stesso torno di tempo vi fu
un’indagine della Procura di Salerno che coinvolgeva magistrati calabresi e
fors’anche lucani.
Ma quell’indagine non ebbe fortuna
anche a causa di un improvvido intervento del Presidente della Repubblica che
causò sanzioni nei confronti dei magistrati salernitani.
Tornando alle vicende di Catanzaro, in
relazione alle violazioni urbanistiche, si svolse il processo in primo grado,
con rito abbreviato, nei confronti dei dirigenti di Marinagri.
All’udienza non partecipò il pubblico
ministero titolare delle indagini che, sostituendo De Magistris, aveva
impiegato un anno per studiare gli atti, ma altro sostituto che richiese un’ora
di tempo per esaminare la questione.
Si trattava di un genio perché in una
sola ora fu capace di operare una sintesi sulla base di documenti raccolti in
poco meno di 50 faldoni.
Richiese l’assoluzione che il GUP
pronunciò.
Vi fu appello con successiva conferma.
Il sostituto Procuratore Generale
formulò ricorso ampio e articolato lasciando più di qualcuno col fiato sospeso
perché sulla questione di diritto, sia pure in sede cautelare, la Corte di
Cassazione si era già pronunciata smentendo l’avv. Severino (Cass. pen.
38157/2008).
Come ho già detto in precedenza,
purtroppo, il diavolo ci mise la coda e quel ricorso fu depositato con un
giorno di ritardo il che, subito dopo, provocò la rinuncia da parte della
Procura Generale.
La vicenda penale, dunque, si concluse
con questo piccolo incidente.
Ma i nodi vengono al pettine ed oggi
dobbiamo procedere ad una verifica sulla vicenda Marinagri e soffermarci sullo
stato dell’arte.
Del complesso Marinagri è stata
realizzata poco meno della metà.
Prima vittima di quel complesso è il
territorio del Comune di Scanzano Jonico.
La società proponente aveva previsto
che il porto che si sarebbe realizzato avrebbe potuto provocare l’accentuazione
del fenomeno dell’erosione costiera.
Prometteva, quindi, opere di difesa di
vario tipo compreso il ripascimento mediante apporto di sabbia.
L’erosione si è verificata ma i rimedi
preventivati non sembrano aver sortito alcun effetto.
Oggi si parla di vero e proprio
disastro ambientale.
Nei mesi scorsi la società Marinagri,
in gravissime difficoltà economiche, ha richiesto un concordato fallimentare
liquidatorio. In buona sostanza, il manager del complesso afferma che con il
patrimonio di cui dispone la società sarebbe in grado di onorare tutti i debiti
vendendo gli immobili nel termine di 4 anni e si riserverebbe, dopo quella
data, la decisione di proseguire o liquidare il tutto.
In quell’evenienza, non si sa bene
chi dovrebbe provvedere alla presentazione della relazione biennale sugli
argini ed alle eventuali opere necessarie.
Alla
luce di questi risultati occorre ora dire che Luigi De Magistris aveva ragione.
Si
può dunque concludere che il vecchio adagio costituito dalla frase “il tempo è galantuomo” cade a proposito.
2)
Vincenzo
Vitale ha invece torto
Il noto editorialista di un quotidiano
locale, Nino Grasso, attualmente dirigente dell’ufficio stampa della Regione,
tesseva gli elogi dell’iniziativa e parlava di oltre mille occupazioni che
quell’iniziativa avrebbe apportato.
Le nuove maestranze purtroppo non ci
sono.
Gli appaltatori ancor oggi combattono
per ottenere i propri crediti.
Le procedure aperte con la richiesta
di concordato preventivo sono all’esame dell’autorità giudiziaria.
Come antico oppositore di quel
complesso sorto nel letto del fiume Agri mi assumo l’onere di esprimere le mie
opinioni al Tribunale di Matera e al Procuratore della Repubblica cui
spetteranno azioni e decisioni.
Ho già detto in passato che quella è
un’area sfortunata.
Lì doveva realizzarsi l’attività di
allevamento del pesce e quella industriale di trasformazione e inscatolamento, ma
da quell’area una scatoletta di pesce non è mai uscita.
Dopo qualche decennio sempre lo stesso
manager, con altro organismo, richiese ed ottenne dalla Cassa per il
Mezzogiorno un finanziamento di ben 25 miliardi di lire per realizzare, senza
un proprio apporto economico, un centro per l’acquacoltura.
Ma anche questa iniziativa fallì a
seguito di vicende giudiziarie che gli interessati potranno conoscere
attingendo agli atti del processo e delle attività amministrative.
Siamo adesso alla terza fase.
Il Vitale si giustifica con i ritardi
causati dalle indagini giudiziarie.
Ma non è così.
Quell’iniziativa era
sbagliata e tale rimane.
Ne è dimostrazione il
fatto che molti appaltatori delle opere edilizie non hanno ricevuto il
corrispettivo ed altri hanno dovuto accettare di comprare essi stessi gli
immobili costruiti.
E del resto rivendica il pagamento,
tra gli altri, il difensore che lo ha assistito a Catanzaro.
Si porranno il Procuratore della
Repubblica di Matera e i giudici fallimentari la domanda: ma questo manager, è
affidabile?
Dovranno formarsi una opinione.
Mi permetto di fornire loro alcuni
elementi:
1. i due comuni che ospitano
l’intervento, Scanzano Jonico e Policoro, non hanno tratto vantaggi
dall’iniziativa. Per Scanzano Jonico vi è il disastro ambientale ed un
consistente credito da recuperare. Per Policoro vi è da recuperare un credito
di oltre 1 milione di euro. Certo il manager promette di poter pagare tutto.
Mi auguro che non siano promesse da
marinaio per i motivi che seguono.
2. Mi è capitato di trovare sul sito
della Corte Suprema di Cassazione la sentenza n. 42087/2016 della III sezione
penale.
Racconta di tale V.V. che nell’anno
2013 aveva prodotto una dichiarazione annuale IVA recante un debito di €
876.853,00 (ottocentosettantaseimilaottocentocinquatatre,00) da pagarsi entro
il 27/12/2016.
Furono versati alcuni spiccioli (meno
di € 20.000,00) per cui vi fu la denuncia penale da parte della Agenzia delle
Entrate.
Avviato il procedimento penale veniva
effettuato un sequestro preventivo sulle proprietà personali del benestante
V.V..
Emerse che tali beni sarebbero stati
in precedenza donati ai figli per cui il V.V. propose un fiero ricorso alla
Corte di Cassazione.
Orbene il giudice di legittimità in
considerazione del fatto che a Marinagri non vi erano “soldi in cassa”, ha ritenuto rituale il sequestro ed ha rigettato
il ricorso, dopo aver fatto presente come il giudice della cautela avesse
sottolineato la circostanza dell’avvenuta donazione effettuata in momento
successivo all’avviso di accertamento tributario.
Nelle more, ed in primo grado, si è
concluso il processo penale.
V.V., imputato di reato tributario, si
è difeso sostenendo di aver diritto alla compensazione del credito della
Agenzia delle Entrate con un proprio credito.
In tal senso avrebbe reso
testimonianza il commercialista che si sarebbe personalmente occupato della
pratica.
Sennonché, il direttore della Agenzie delle Entrate,
chiamato a testimoniare dal giudice, riferiva che la compensazione non era
possibile anche perché il credito offerto in compensazione era già stato
precedentemente ceduto.
Quindi, V.V. chiede la compensazione e
con questa giustifica il mancato pagamento, il che rende non veritiera la
testimonianza del commercialista.
Entrambi tacciono su un’altra decisiva
circostanza: il fatto che quel credito non poteva essere dato in compensazione
perché già ceduto ad altri.
Vi è quindi una dichiarazione
testimoniale non veritiera e fors’anche
un tentato raggiro nei confronti dell’Agenzia che per fortuna non è
caduta nel trabocchetto.
La scrupolosa attività del giudice
penale di Matera ha poi portato, all’udienza dell’1/12/2017, ad una condanna di
V.V. ad anni 1 e mesi 2 di reclusione –
senza sospensione condizionale della pena – e alla confisca dei beni frettolosamente
donati allorquando è pervenuto l’avviso di accertamento tributario.
CONCLUSIONI
1.
La
dichiarazione del commercialista nel processo non appare veritiera.
Non è forse il caso di
esaminarla per stabilire se il teste sia meritevole di un’accusa di falsa
testimonianza?
2.
V.V.
chiede la compensazione e tuttavia dispone diversamente del credito da
compensare. Non è per caso incorso nel tentativo di reato di cui all’art.640
c.p.?
Tanto premesso, chiedo al Procuratore
della Repubblica:
in presenza degli episodi citati e
della conclamata situazione di crisi o insolvenza, non sarebbe il caso di
richiedere il fallimento a garanzia dei privati creditori e soprattutto a
garanzia dell’Erario e degli enti pubblici?
Dakar (Senegal), Liberté 6, 17 aprile
2018.
Ottavio Frammartino