
Prima di tutte queste riflessioni però non avevo mai ascoltato alcuni discorsi di Barack Obama. Avevo letto della sue doti di oratore-predicatore ma non ci avevo dato molta importanza, l’opinione pubblica è sempre alla ricerca del “messia”, del fenomeno che fa audience, di qualcuno da rendere una star. Avevano assolutamente ragione invece. Prendendo in prestito le parole espresse da Mario Vargas Llosa possiamo dire che all’interno delle coordinate politiche degli Usa, Obama ha determinato, in un momento difficile d’incertezza economica, di divisioni e di odio politico interni e, per quanto riguarda l’estero, di disamore verso gli Stati Uniti a causa della guerra in Iraq, un movimento di grande entusiasmo e di speranza, in particolare tra gli elettori indipendenti e i giovani. In essi, curiosamente, si mescolano reminiscenze di ciò che fu la mobilitazione in difesa dei diritti umani e dell’integrazione razziale guidata da Martin Luther King e l’impatto determinato nella vita politica dall’irruzione di John Kennedy e del suo messaggio di riformismo idealista.
I discorsi di Obama rappresentato una chiamata, come quelli di John Edwards d’altronde, all’unità, al di là delle differenze partitiche, etniche o religiose, per dare battaglia alla povertà, alla crisi economica, al terrorismo, per instaurare un’assicurazione sanitaria estesa a tutti e per difendere l’ambiente. Obama rifugge dai cliché e dai luoghi comuni del linguaggio politico, trasmette convinzione, freschezza, sentimenti e quell’ingenuità che è, a volte, bersaglio dello scherno di quanti sono convinti che il «sogno americano» sia solo un’invenzione dei creativi della pubblicità. Questo figlio d’un africano e d’una bianca del Kansas d’origine nordica che, grazie al proprio talento, ha studiato nella migliore università degli Stati Uniti, Harvard, (proprio come Michelle, sua moglie) e, dopo aver conseguito un’eccellente formazione, invece di andare a farsi ricco in un grande studio di avvocati a New York o tra gli executive d’una multinazionale, ha preferito seppellirsi per dieci anni nei quartieri più miserabili di Chicago, lavorando per gli emarginati e i senzalavoro con l’intento d’offrire loro le risorse politiche e culturali per farli uscire dalla povertà.
Barack Obama è il primo dirigente di colore degli Usa che ha toccato, contemporaneamente, il cuore dei bianchi, dei neri e degli ispanici con un linguaggio che non si richiama mai alla propria condizione razziale. Nelle sue interviste brillano per la loro assenza sia il vittimismo, sia il razzismo ed è costante il richiamo a superare le barriere artificiali alzate dalle ideologie, dal razzialismo (da non confondere con il razzismo benché sia da esso contaminato) dal femminismo e dall’ecologismo, appoggiandosi ai valori superiori di libertà, giustizia, legalità e opportunità, educazione e sicurezza per tutti, senza eccezioni. Si tratta, indubbiamente, di idee semplici, generali, ma che hanno fatto vibrare milioni di nordamericani, ricordando loro, di colpo, che la politica può essere qualcosa di più generoso e di più sincero rispetto alla versione che di essa danno i politici di professione.
John Edwards sarebbe un ottimo presidente ne resto convinto, però Obama trasmette qualcosa più: la mistica sensazione di poter migliorare il mondo. Per uno statista questo è tutto. Io sto con lui.
Caro Frammartino scriva la provenineza dei suoi articoli e non se ne attribuisca la paternita'..anche perche' non mi perdoni la franchezza lei non sarebbe in grado di scrivere cosi' correttamente. Questo articolo e' di Dario Maestranzi
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