giovedì 19 marzo 2015

CORTE DEI CONTI attacca politici e amministratori «Credono di poter fare quello che vogliono»

leo Amato
Il Procuratore regionale della Corte dei conti tira le somme di 10 anni in Basilicata: «Manca ancora la cultura della buona amministrazione

 POTENZA - «In dieci anni non è cambiato nulla. Ci sono pochi casi virtuosi, è vero. Ma in generale l’impressione è che non ci sia stato ancora uno scatto di orgoglio degli amministratori. Un inversione culturale. Sono ripetitive le segnalazioni di danno. Su fatti quasi seriali. Non c’è resipiscenza».
Lo ripete più volte il procuratore regionale della Corte dei conti Michele Oricchio.

 Alla vigila di quella che potrebbe essere la sua ultima cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario in Basilicata. 
Il magistrato, mai tenero con politici e amministratori della cosa pubblica cita «la moltiplicazione degli enti, ad esempio. Ora leggevo che nascerà un altro ente per la gestione dell’acqua. Questi sono segnali di un’inversione di tendenza che non c’è. Perché altrimenti non potrebbe non procedersi a un dimagrimento di questo apparato, per fare in modo che sia più efficiente, meno costoso. Per evitare possibili deviazioni dai canoni di buona amministrazione. Perché io ripeto da anni che è l’occasione che fa l’uomo ladro. Più occasioni si danno, più enti si creano, più società, più agenzie, più diventa possibile che accada. E su questo una chiara inversione di tendenza purtroppo non l’ho vista. Non c’è a livello regionale e nemmeno delle province, per le competenze residue».

Tempo fa le sue parole avevano alimentato una polemica accesa perché si era schierato a favore delle province. Rispetto al regionalismo inseguito dalle ultime riforme costituzionali.
«Io sono stato e ho scritto con forza contro l’abolizione delle province. Se io abolisco le province, le funzioni chi le svolge? Devo creare un ambito ottimale per i rifiuti, un ambito ottimale per l’acqua. Mi troverò una provincia in meno e cinque autorità d’ambito, di bacino, unioni di comuni in più. In questo la vicenda delle comunità montane è esemplificativa. Muoiono, non muoiono, rivivono come aree programma. Nel frattempo il personale resta impiegato in questi enti. E in queste fasi d’incertezza ci ritroviamo ad avere stipendi certi e funzioni dubbie. Fasi d’incertezza che dovrebbero chiudersi in pochi mesi e invece durano per anni. Abbiamo notato che c’è stato anche questo. La preoccupazione insomma è che non si è radicata bene ancora una cultura della buona amministrazione come canone etico prima ancora che imposto da denunce o vincoli di bilancio. E’ un problema culturale». 
Insomma sperperatori seriali. 
«Ed è difficile che perdano il vizio. L’idea diffusa è che chi riveste una funzione pubblica sia un po’ legibus solutus. Cioè che possa fare un po’ quello che vuole. La funzione pubblica deve ricoprire tutti i costi connessi e non connessi. Questa mentalità non è molto cambiata e ovviamente si riflette su un’economia che non decolla. Sull’utilizzo dei fondi europei». 
Di recente la sezione centrale della Corte dei conti ha dichiarato che in Basilicata la spesa certificata per uno di questi fondi è quella più bassa d’Italia. Ma i finanziamenti allegri sono solo un capitolo dell’attività della procura contabile nell’ultimo anno.
«La vicenda più importante è stata senza dubbio quella dei rimborsi dei consiglieri regionali. Però ci sono stati anche tanti altri episodi di cattiva gestione, per esempio rientra in questo modo di concepire la cosa pubblica anche il conferimento di incarichi dirigenziali».
I premi di produzione. 
«Anche su questo abbiamo già iniziato a notificare le prime contestazioni formali per alcuni enti e agenzie della Regione. Ma lo stiamo facendo su tutti. Parliamo delle indennità di risultato che spesso in questa Regione vengono erogate senza rispettare l’iter attento previsto dalla legge Brunetta nel 2009 per determinare l’entità dei premi. Quindi un piano e obiettivi da raggiungere. Valutazione degli obiettivi raggiunti e calcolo della percentuale del premio che si può erogare. Così alla fine prendevano tutti il massimo. Un altro bubbone dell’amministrazione». 
C’è stata anche un caso che ha riguardato prima il Comune di Ferrandina poi l’Ato rifiuti Matera. 
«Anche lì c’è stata già una condanna per quanto accaduto nel Comune di Ferrandina. Poi, come spesso accade quando si acquisiscono queste qualifiche dirigenziali in maniera non chiarissima, si è portati ad andare presso un altro ente. Per evitare di rimanere sotto i riflettori degli ex colleghi che ti conoscono. Uno acquisisce in un ente una qualifica dirigenziale e se la va a spendere altrove. E in questo caso sembra che sia accaduto proprio questo. Addirittura il soggetto è andato poi in pensione con la qualifica dirigenziale. Si sta trasportando gli effetti di questa originaria promozione anche in pensione. Sono continue queste problematiche sulla gestione dei dipendenti pubblici. Anche perché tornando alle indennità accessorie ci troviamo di fronte a qualcosa che serve per fidelizzare e spesso per creare dei vincoli di sudditanza». 
E a Potenza c’è il dissesto del Comune. 
«Poi c’è la vicenda del Comune di Potenza, per via soprattutto dell’attività svolta dalla Sezione di controllo. Noi ci interessiamo di alcuni aspetti». 
Perché dopo la dichiarazione di dissesto sono previsti alcuni controlli ulteriori. 
«Noi ci muoviamo su episodi specifici che possono aver concorso al dissesto. Se in questa logica individuiamo responsabilità non solo c’è la richiesta risarcitoria, classica, ma c’è anche la possibilità di chiedere alla Sezione l’irrogazione della sanzione accessoria della incandidabilità fino a dieci anni. Però ovviamente questo è all’esito del provvedimento che ora si avvia con la commissione per l’individuazione della massa passiva incaricata dal Ministero dell’interno. Noi ci relazioneremo con loro e man mano che ci arrivano agli atti andremo a verificare. Quindi se dovessero emergere ipotesi per cui il dissesto finanziario è conseguenza di condotte ed episodi specifici potremmo muoverci in questo modo. Ma è una procedura molto complessa». 
Crede che non ce la faremo per l’anno prossimo?
«No, non credo. Quest’anno stiamo avviando autonomamente, anche se è certamente collegata, una verifica sulla vicenda dei trasporti, del Cotrab, che è legatissima al dissesto. Ma si tratta di una denuncia che ci è arrivata a prescindere da tutto su cui stiamo lavorando già adesso. Un’attività sostanziosa, che dà l’impressione di situazioni che si sedimentano per anni queste convenzioni, queste appendici. Il precipitato è un costo straordinario per un servizio, che non so come viene considerato dai cittadini». 
Dimentichiamo qualcosa?
«Abbiamo aperti fascicoli per i rimborsi nei due consigli provinciali. Abbiamo attenzionato il Consorzio industriale di Matera per cui è già arrivata una sentenza di condanna...»
Una vicenda di espropri?
«Espropri per realizzare questo fantomatico progetto della pista Mattei, che per il momento ha significato solo soldi buttati. Ma c’è anche la vicenda della costruzione dell’ospedale degli acuti di Lagonegro. C’è stato segnalata una nuova convenzione tra il Comune di Maratea e la società che gestisce il Pianeta Maratea per definire una serie di vecchie partite rimaste sospese in maniera all’apparenza sfavorevole per l’ente pubblico. La difficoltà è quella di dare una risposta in tempi ragionevoli». 
Tanto e piccolo. 
«Ad esempio la spesa delle royalties del petrolio. La Sezione di controllo ha impegato 3 anni per prendere in rassegna cosa è accaduto. E la risposta è di tutto. Le cose più folli. Così torniamo al discorso di prima. C’è una diffusione del cattivo senso del bene pubblico, che magari non sfocia in episodi di straordinaria rilevanza o eco nazionale, che sono anche coerenti col sistema sociale ed economico della zona. Mille rivoli, come le assunzioni, i favoritismi, le clientele più o meno diffuse su tutto il territorio. O ad esempio opere pubbliche più o meno incompiute».
A Potenza il ponte attrezzato. 
«Lì siamo partiti troppo tardi. E adesso è abbandonata. Chiusa. Una struttura costata un occhio della testa, e realizzata nella maniera peggiore. Con costi proibiti. Materiale che non ci sembrava lo stesso indicato nel progetto...»
Su questo però una sentenza vi ha dato torto. 
«Ma siamo andati in appello. Perché un caso sembrava proprio incredibile. Cioè loro riducono l’opera, perché a Porta Salza dovevano esserci quattro piani che diventano uno solo, però aumentano i costi. Io quest’equazione non l’ho capita. Che c’è di attrezzato adesso? E i negozi? Questo episodio è il fallimento di un certo modo di concepire le opere pubbliche. Senza nemmeno verificare poi in concreto come si gestiranno. L’importante è intercettare il finanziamento. Faccio l’opera se la faccio. Se no mi basta semplicemente pagarmi la progettazione, così vivono anche una serie di consulenti e compagnia cantando. Si progetta un’opera faraonica e ai costi dell’opera, alla manutezione non ci pensa nessuno. E oggi vediamo un’opera che rischia il degrado, che è la cosa più brutta da vedere. Una costante di questi anni».