POTENZA - La replica di Mirella Liuzzi e Vito Petrocelli è durissima. I due parlamentari lucani grillini sulla soddisfazione del Partito democratico per gli emendamenti approvati allo Sblocca Italia in Commissione ambiente non ci stanno. E attaccano in particolare i tre deputati lucani del Partito democratico che a margine di due loro emendamenti all’articolo 36 del decreto del governo nazionale avevano palesato soddisfazioni.
Dall’altro lato, la segretaria regionale di Sinistra ecologia e libertà, Maria Murante se la prende con il presidente della Regione Marcello Pittella. Un doppio fronte contro gli esponenti del Pd e le loro scelte comunicative.
Prima i grillini. La deputata Mirella Liuzzi e il senatore Vito Petrocelli del M5S, in una nota congiunta si scagliano: «Maria Antezza, Roberto Speranza e persino l’autosospeso dal Pd, Vincenzo Folino (ma non era in dissenso proprio sulla gestione politica del petrolio in Basilicata?) hanno presentato un emendamento, poi approvato dal Pd e dai suoi complici alla Camera dei Deputati, con il quale si istituisce “una social card nei territori interessati alle estrazioni di idrocarburi liquidi e gassosi”. Una socialcard di berlusconiana memoria, che non risolverà i problemi diinquinamento dell’aria, dell’acqua e delle incidenze tumorali dei cittadini lucani». Insomma per i due grillini lucani in parlamento di tratta di un’operazione spot e poco più. E l’attacco dei pentastellati prosegue: «Incapaci di capire che la svolta economica in Basilicata si può avere solo investendo nell’autonomia energetica di famiglie e imprese e non certo nella favola del petrolio, impotenti verso la liberalizzazione energetica efinanziaria, i tre parlamentari della petrol-caritas lucana, hanno pensato bene di non opporsi allo “Sblocca Italia” e ai suoi famigerati articoli 36 e 38 e di buttarsi anche loro, come FI di Cosimo Latronico, in una distribuzione di una card, come avvenuto per la carta carburante, che avrà la funzione di finanziare i loro sistemi clientelari e la compravendita del consenso».
Durissimo il tenore della nota dei due grillini. E così Liuzzi e Petrocelli attaccano ancora: «La tecnica è sempre la stessa: prima ti affamano e ti disinformano sul petrolio, e poi ti danno il tozzo di pane in ossequio ai più caritatevoli principi cristiani. Prima fanno affari e poi si lavano la coscienza. Anziché pretendere di tenere lontane le piattaforme dalle sorgenti di acqua potabile e dalle aree sismiche, anziché chiedere di aumentare i canoni delle aree di concessione delle coltivazioni, per dare sicure entrate fiscali ai governi senza far rimettere nulla ai cittadini, anziché preoccuparsi dei rischi di inquinamento ambientale e sanitario prodotti dalla grande industria e dallo sfruttamento dei fossili questi tre geniali economisti pro-società minerarie, varano quest’altra trovata economica che spillerà spiccioli alle società minerarie. Le quali, grate, continueranno a trovare conveniente perforare in Basilicata e in altura, oltre i 600 metri di altitudine, dove è altissimo sia il rischio sismico che di inquinamento irreversibile dell’acqua dolce».
I due grillini quindi entrano nel dettaglio: «In Basilicata le società minerarie estraggono circa 35 milioni di barili di greggio all’anno, per un affare, al prezzo medio internazionale di borsa di 100 dollari per barile, di circa 3,5 miliardi di dollari (più di 3 miliardi di euro). A questi introiti bisogna aggiungere i guadagni della desolforizzazione fatta nel centro oli di Viggiano (producono composti azotati per l’agricoltura) e quelli della raffinazione di ognuno di questi 35 milioni di barili, circa 5 miliardi e mezzo di litri, fatta alla raffineria Eni di Taranto, o all’estero col “franco frontiera” (per evadere le tasse in Italia). Nonostante le cifre paventate, il giacimento lucano sarebbe in teoria poco conveniente per le società minerarie, perché è di piccola dimensionee perché il petrolio si trova a 4 km di profondità (sono altissimi i costi di estrazione). Ma Eni & C., in Basilicata, godono di un’area franca perché la classe politica non pone limiti al loro strapotere, non pone regole ai loro bisogni commerciali e, quel che è più grave, non pone controlli adeguati e sufficienti a tutela degli enormi bacini idrici e dell’elevato rischio sismico. Se non ho regole, non ho ostacoli e non ho controlli adeguati, ho solo guadagno da calcolare, anche da un piccolo e profondo giacimento». In conclusione Mirella Liuzzi e Vito Petrocelli insistono sul punto: «Non c’è alcun ritorno per l’economia lucana, in quanto le società minerarie lasciano in Basilicata solo briciole e macerie».
Dall’altro lato, la segretaria regionale di Sinistra ecologia e libertà, Maria Murante se la prende con il presidente della Regione Marcello Pittella. Un doppio fronte contro gli esponenti del Pd e le loro scelte comunicative.
Prima i grillini. La deputata Mirella Liuzzi e il senatore Vito Petrocelli del M5S, in una nota congiunta si scagliano: «Maria Antezza, Roberto Speranza e persino l’autosospeso dal Pd, Vincenzo Folino (ma non era in dissenso proprio sulla gestione politica del petrolio in Basilicata?) hanno presentato un emendamento, poi approvato dal Pd e dai suoi complici alla Camera dei Deputati, con il quale si istituisce “una social card nei territori interessati alle estrazioni di idrocarburi liquidi e gassosi”. Una socialcard di berlusconiana memoria, che non risolverà i problemi diinquinamento dell’aria, dell’acqua e delle incidenze tumorali dei cittadini lucani». Insomma per i due grillini lucani in parlamento di tratta di un’operazione spot e poco più. E l’attacco dei pentastellati prosegue: «Incapaci di capire che la svolta economica in Basilicata si può avere solo investendo nell’autonomia energetica di famiglie e imprese e non certo nella favola del petrolio, impotenti verso la liberalizzazione energetica efinanziaria, i tre parlamentari della petrol-caritas lucana, hanno pensato bene di non opporsi allo “Sblocca Italia” e ai suoi famigerati articoli 36 e 38 e di buttarsi anche loro, come FI di Cosimo Latronico, in una distribuzione di una card, come avvenuto per la carta carburante, che avrà la funzione di finanziare i loro sistemi clientelari e la compravendita del consenso».
Durissimo il tenore della nota dei due grillini. E così Liuzzi e Petrocelli attaccano ancora: «La tecnica è sempre la stessa: prima ti affamano e ti disinformano sul petrolio, e poi ti danno il tozzo di pane in ossequio ai più caritatevoli principi cristiani. Prima fanno affari e poi si lavano la coscienza. Anziché pretendere di tenere lontane le piattaforme dalle sorgenti di acqua potabile e dalle aree sismiche, anziché chiedere di aumentare i canoni delle aree di concessione delle coltivazioni, per dare sicure entrate fiscali ai governi senza far rimettere nulla ai cittadini, anziché preoccuparsi dei rischi di inquinamento ambientale e sanitario prodotti dalla grande industria e dallo sfruttamento dei fossili questi tre geniali economisti pro-società minerarie, varano quest’altra trovata economica che spillerà spiccioli alle società minerarie. Le quali, grate, continueranno a trovare conveniente perforare in Basilicata e in altura, oltre i 600 metri di altitudine, dove è altissimo sia il rischio sismico che di inquinamento irreversibile dell’acqua dolce».
I due grillini quindi entrano nel dettaglio: «In Basilicata le società minerarie estraggono circa 35 milioni di barili di greggio all’anno, per un affare, al prezzo medio internazionale di borsa di 100 dollari per barile, di circa 3,5 miliardi di dollari (più di 3 miliardi di euro). A questi introiti bisogna aggiungere i guadagni della desolforizzazione fatta nel centro oli di Viggiano (producono composti azotati per l’agricoltura) e quelli della raffinazione di ognuno di questi 35 milioni di barili, circa 5 miliardi e mezzo di litri, fatta alla raffineria Eni di Taranto, o all’estero col “franco frontiera” (per evadere le tasse in Italia). Nonostante le cifre paventate, il giacimento lucano sarebbe in teoria poco conveniente per le società minerarie, perché è di piccola dimensionee perché il petrolio si trova a 4 km di profondità (sono altissimi i costi di estrazione). Ma Eni & C., in Basilicata, godono di un’area franca perché la classe politica non pone limiti al loro strapotere, non pone regole ai loro bisogni commerciali e, quel che è più grave, non pone controlli adeguati e sufficienti a tutela degli enormi bacini idrici e dell’elevato rischio sismico. Se non ho regole, non ho ostacoli e non ho controlli adeguati, ho solo guadagno da calcolare, anche da un piccolo e profondo giacimento». In conclusione Mirella Liuzzi e Vito Petrocelli insistono sul punto: «Non c’è alcun ritorno per l’economia lucana, in quanto le società minerarie lasciano in Basilicata solo briciole e macerie».