La Basilicata è la regione
italiana più ricca di risorse naturali. La Basilicata è la regione italiana con
i suoi abitanti a più basso reddito ed è anche quella in cui il tasso di
disoccupazione è tra i più alti. La stridente dicotomia esistente tra i due concetti
induce a conseguenti riflessioni. Le risorse in terra lucana non mancano.
Prima fra tutte l'acqua, di
proprietà lucana, ma di gestione della vicina Puglia. I lucani devono, in certo
qual modo, accontentarsi di alcuni risibili proventi dalla vicina regione che,
peraltro, in maniera del tutto ipocrita, riconosce il diritto di proprietà alla
Basilicata, ma continua a gestire le risorse idriche. Ma non basta! Se
affrontiamo l'altra risorsa esistente in terra lucana, ossia il petrolio, il
cosiddetto oro nero, la questione si fa ancora più sconcertante.
La Basilicata, ribattezza
come una novella Texas, per la ricchezza petrolifera che giace nel suo
sottosuolo, da questa preziosa risorsa non riesce ad ottenere i vantaggi
sperati. Anzi gli svantaggi superano di gran lunga i presunti vantaggi. Questo
perché i rappresentanti politici lucani non hanno alcun potere contrattuale a
livello governativo. Le royaltites (diritti sulle estrazioni petrolifere)
concesse alla Basilicata sono le più basse al mondo. Una vera elemosina se
raffrontate alle royalites concesse in Canada o in Norvegia o addirittura in
Paesi del cosiddetto Terzo Mondo.
Peraltro le estrazioni
petrolifere in certi Paesi europei o africani non vengono effettuate a ridosso
di insediamenti urbani, ma a notevole distanza da essi, in virtù di una densità
demografica del tutto diversa da quella lucana. In Basilicata, invece,
come in Val d'Agri, a Viggiano o a Gorgoglione (ma ora anche nei pressi del
centro abitato di Policoro e, come si paventa, anche in mare a ridosso della
fascia jonica del Metapontino) le trivelle perforano il suolo alla ricerca
dell'oro nero. Anche in questo caso le istituzioni sono assolutamente carenti
nella tutela del territorio.
Il paradosso è ancora più
stridente se si pensa che vantaggi più consistenti si registrano persino in
altre regioni italiane, dove di petrolio nel sottosuolo non ne esiste nemmeno
una goccia. La Val d'Agri, in sostanza, da area ricca di monti, di acque, di
boschi, di verde e di agricoltura, che era in attesa di un suo sviluppo
autoctono legato a queste emergenze naturali, si è venuta a trovare nella
condizione di un territorio occupato, manipolato, sfruttato.
Un territorio che rischia di
essere persino abbandonato dai suoi stessi figli. Lo spopolamento dell'area,
investita dalle compagnie petrolifere è, di fatto, del tutto evidente. La gente che vive nei pressi dei pozzi petroliferi è fortemente preoccupata per l'inquinamento imperante, ma anche per lamancanza di occupazione. Un paradosso se
si pensa che il
giacimento petrolifero ricadente sul suo territorio vale più di 50 miliardi di
euro, che potrebbe garantire migliaia di posti di lavoro. Aspetto ancor più
preoccupante è quello che riguarda la compatibilità dell'industria petrolifera
con l'ambiente. L'aria viene inquinata perché non è stato ancora creato
un idoneo sistema di monitoraggio.
L'acqua, dal canto suo,
subisce l'inquinamento innanzitutto alle falde idriche delle abbondanti acque
sotterranee esistenti in Val d'Agri che alimentano alcuni fiumi e bacini idrici
della zona ( il Fiume Agri, il Lago del Pertusillo, l'acquedotto che va in
Puglia e nel materano, approvvigiona 4,5 milioni di persone ed irriga le aree
coltivate della Piana di Metaponto. L'inquinamento tende a ripercuotersi sul
suolo e sulle colture della Val d'Agri che sono soggette alla esposizione delle
ceneri volatili prodotte dalla combustione degli olii.
Intanto la lobby
petrolifera, tra politica ed imprese, continua a trivellare indisturbata in
Basilicata, coltiva solo interessi particolari, nella assurda convinzione che
la Basilicata, oltre che terra di conquista sia un territorio da sfruttare e
non certo da valorizzare.
Nino Grilli