mercoledì 7 agosto 2013

La lobby delle estrazioni petrolifere continua a imperare in Basilicata.E intanto il territorio lucano è abbandonato dai suoi figli



La Basilicata è la regione italiana più ricca di risorse naturali. La Basilicata è la regione italiana con i suoi abitanti a più basso reddito ed è anche quella in cui il tasso di disoccupazione è tra i più alti. La stridente dicotomia esistente tra i due concetti induce a conseguenti riflessioni. Le risorse in terra lucana non mancano.
Prima fra tutte l'acqua, di proprietà lucana, ma di gestione della vicina Puglia. I lucani devono, in certo qual modo, accontentarsi di alcuni risibili proventi dalla vicina regione che, peraltro, in maniera del tutto ipocrita, riconosce il diritto di proprietà alla Basilicata, ma continua a gestire le risorse idriche. Ma non basta! Se affrontiamo l'altra risorsa esistente in terra lucana, ossia il petrolio, il cosiddetto oro nero, la questione si fa ancora più sconcertante.
La Basilicata, ribattezza come una novella Texas, per la ricchezza petrolifera che giace nel suo sottosuolo, da questa preziosa risorsa non riesce ad ottenere i vantaggi sperati. Anzi gli svantaggi superano di gran lunga i presunti vantaggi. Questo perché i rappresentanti politici lucani non hanno alcun potere contrattuale a livello governativo. Le royaltites (diritti sulle estrazioni petrolifere) concesse alla Basilicata sono le più basse al mondo. Una vera elemosina se raffrontate alle royalites concesse in Canada o in Norvegia o addirittura in Paesi del cosiddetto Terzo Mondo.
Peraltro le estrazioni petrolifere in certi Paesi europei o africani non vengono effettuate a ridosso di insediamenti urbani, ma a notevole distanza da essi, in virtù di una densità demografica del tutto diversa da quella lucana.  In Basilicata, invece, come in Val d'Agri, a Viggiano o a Gorgoglione (ma ora anche nei pressi del centro abitato di Policoro e, come si paventa, anche in mare a ridosso della fascia jonica del Metapontino) le trivelle perforano il suolo alla ricerca dell'oro nero. Anche in questo caso le istituzioni sono assolutamente carenti nella tutela del territorio. 
Il paradosso è ancora più stridente se si pensa che vantaggi più consistenti si registrano persino in altre regioni italiane, dove di petrolio nel sottosuolo non ne esiste nemmeno una goccia. La Val d'Agri, in sostanza, da area ricca di monti, di acque, di boschi, di verde e di agricoltura, che era in attesa di un suo sviluppo autoctono legato a queste emergenze naturali, si è venuta a trovare nella condizione di un territorio occupato, manipolato, sfruttato.
Un territorio che rischia di essere persino abbandonato dai suoi stessi figli. Lo spopolamento dell'area, investita dalle compagnie petrolifere è, di fatto, del tutto evidente. La gente che vive nei pressi dei pozzi petroliferi è fortemente preoccupata per l'inquinamento imperante, ma anche per lamancanza di occupazione. Un paradosso se si pensa che il giacimento petrolifero ricadente sul suo territorio vale più di 50 miliardi di euro, che potrebbe garantire migliaia di posti di lavoro. Aspetto ancor più preoccupante è quello che riguarda la compatibilità dell'industria petrolifera con l'ambiente. L'aria viene inquinata perché  non è stato ancora creato un idoneo sistema di monitoraggio.
L'acqua, dal canto suo, subisce l'inquinamento innanzitutto alle falde idriche delle abbondanti acque sotterranee esistenti in Val d'Agri che alimentano alcuni fiumi e bacini idrici della zona ( il Fiume Agri, il Lago del Pertusillo, l'acquedotto che va in Puglia e nel materano, approvvigiona 4,5 milioni di persone ed irriga le aree coltivate della Piana di Metaponto. L'inquinamento tende a ripercuotersi sul suolo e sulle colture della Val d'Agri che sono soggette alla esposizione delle ceneri volatili prodotte dalla combustione degli olii.

Intanto la  lobby petrolifera, tra politica ed imprese, continua a trivellare indisturbata in Basilicata, coltiva solo interessi particolari, nella assurda convinzione che la Basilicata, oltre che terra di conquista sia un territorio da sfruttare e non certo da valorizzare.
Nino Grilli