Un disastro annunciato quello di questi giorni in Basilicata, ma se non si corre ai ripari il peggio dovrà ancora arrivare. Normalmente i fiumi devono scorrere nei loro alvei naturali, affiancati da aree di espansione laterale delle piene (o fasce di pertinenza fluviale) dove appunto si riversano le acque in eccesso durante le piene fluviali. Da noi invece la cementificazione dei letti dei fiumi li ha trasformati spesso in stretti canali in cui le acque scorrono sempre più veloci, la progressiva riduzione delle aree fluviali a causa degli insediamenti antropici e la loro delimitazione attraverso argini artificiali che impediscono la normale divagazione dei fiumi, sono delle vere e proprie minacce foriere di gravissimi danni. Alvei che sono stati rettificati, ristretti e ingabbiati entro sponde di cemento, privati delle loro aree di espansione delle piene, creano gravi ripercussioni sulla fisionomia dei corsi d’acqua e sugli equilibri ambientali. Aumenta quindi il rischio che, durante le piene, le acque travolgano gli argini inondando i campi e le costruzioni posti nelle vicinanze.
In altri paesi, dove si è verificato un analogo fenomeno di cementificazione di fiumi e torrenti, si è proceduto ad una “rinaturalizzazione” dei corsi d’acqua, per ripristinare gli equilibri e le funzioni di questi ecosistemi. In Germania, per esempio, gli alvei rettificati e le sponde in cemento vengono via via demoliti; le aree di espansione fluviale, dove è possibile, vengono ripristinate; sulle sponde vengono piantati alberi di alto fusto, che aumentano la capacità del suolo di trattenere le acque. Anche in Italia l’attuale politica ambientale, realizzata tramite le Autorità di Bacino, prevede la tutela dei fiumi e delle fasce di pertinenza fluviale, gran parte delle quali sono sottoposte a vincolo di inedificabilità. E in Basilicata? Qui da noi c’è invece la riduzione delle aree fluviali naturali e l’esaltazione della cementificazione selvaggia contrabbandata come opportunità di sviluppo, e si corre ad esaltare tale scempio solo perché ha retto ad una giornata di pioggia, come tutto l’agro di Policoro. Rimane poi da discutere e verificare se gli argini artificiali costruiti per proteggere certi complessi turistici dalle piene del fiume, così riducendone drammaticamente l’area naturale di divagazione, non possano invece risultare pericolosi per le aree emerse confinanti.