mercoledì 27 aprile 2016

L’inchiesta, la fretta e il silenzio di De Filippo

Vito De FilippoI fatti di Potenza hanno mille facce. Regione, Comuni e altre istituzioni pubbliche lucane non sono state all'altezza. Sui controlli all'ambiente è stato fatto poco, in modo confuso e superficiale. Si poteva e si doveva fare di più. Ci sono state mancanze, sottovalutazioni, colpevoli distrazioni e leggerezze. La Regione con il più grande impianto di estrazione d'Europa non ha predisposto misure adeguate all'eccezionalità dell'intervento di Eni e Total. Come ha detto qualcuno ci si è seduti sul bancomat dei barili, senza ragionare, prevenire, proteggere cittadini e territorio

Vito De Filippo
COMINCIA a serpeggiare un diffuso disagio per le indagini dei magistrati potentini. Il primo a dare segni di impazienza è stato proprio il presidente Matteo Renzi, che giorni fa ha sfoderato la scimitarra contro toghe e giornalisti.
Il fastidio nasce dalle intercettazioni su quello che avverrebbe dietro le quinte dei suoi ministeri, la lotta fra le lobby, le rivalità e i veleni di cricche e combriccole, vicine a esponenti del Governo. Manovre, calunnie e dossier che non risparmiano gli alti vertici militari e che hanno costretto l'ex ministra Federica Guidi a lasciare, pur essendo – come scrivono i pm lucani – strumento inconsapevole dei “clan”.
Anche la stampa nazionale ha tenuto qualche volta un profilo basso. Non c'è confronto tra i toni usati per De Filippo indagato e quelli per altri sottosegretari e ministri, costretti in passato alle dimissioni, senza neppure un avviso di garanzia.
Un'atmosfera strana, surreale che punta a lasciar soli i magistrati della Procura di Potenza, cui forse non si perdona di aver scoperchiato, partendo da una piccola città, un pentolone dove dentro ribollono affari e affaristi per svariati miliardi di euro. Il filone dell'inchiesta che porta ad Augusta apre scenari imprevedibili, arrivando a coinvolgere il vicepresidente di Confindustria.
L'archiviazione immaginaria di De Filippo, annunciata con tanto strepitìo, s'inquadra in questo contesto. Dopo due richieste di proroga di indagini non basta un'ora, anche con tutte le risposte giuste e appropriate, per alleggerire la posizione di un indiziato, soprattutto quando alcune intercettazioni rendono la cosa ancora più delicata. Invece, nemmeno il tempo di leggere la notizia sul giornale, con il suo nome iscritto nel registro degli indagati, che il sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo, si fionda negli uffici della Procura di Potenza per essere ascoltato dai magistrati. Passa un'ora; e nemmeno il tempo di lasciare il Palazzo di Giustizia, che agenzie di stampa, siti e altre fonti giornalistiche diffondono particolari su una fantomatica richiesta di archiviazione. Dall'autoconvocazione all'autoarchiviazione, all'autoproscioglimento, all'interpretazione furbesca e smaliziata del pensiero dei magistrati. I desideri del fan club dell'ex Governatore scambiati per notizie vere. Che stranezza. Quasi un tirare per la giacca gli investigatori, che da mesi e mesi si muovono con scrupolo e discrezione. Sia chiaro: auguriamo a De Filippo di riuscire presto a dimostrare l'infondatezza dei rilievi che gli vengono mossi. Lo speriamo per lui e per tutte le persone coinvolte. Ma questa pacchiana mossa propagandistica è l'emblema di un certo clima che si è creato in Basilicata, a due settimane dagli arresti. Clima destinato a diventare rovente, dopo la decisione del Tribunale del Riesame di confermare il sequestro del Centro oli di Viggiano.
De Filippo è stato invece assente, silenzioso, distratto, sfuggente sull'altro aspetto della vicenda giudiziaria di Potenza. Non una parola sul presunto aumento dei tumori e della mortalità in Basilicata. Ha avuto la capacità, come sottosegretario alla Salute, di inabissarsi, di stare lontano da qualsiasi dibattito, senza spendere una parola per i suoi corregionali, angosciati da questa tempesta di notizie inquietanti. Niente. E' rimasto a guardare fino a quando non è sbucato il titolo che lo riguardava. Allora ha ritrovato slancio, parola e capacità d'azione. Quando si dice la politica al servizio del cittadino.
Questa inchiesta sul petrolio ha mille facce. Regione, Comuni e altre istituzioni pubbliche lucane non sono state all'altezza. Sui controlli all'ambiente è stato fatto poco, in modo confuso e superficiale. Si poteva e si doveva fare di più. Ci sono state mancanze, sottovalutazioni, colpevoli distrazioni e leggerezze. La Regione con il più grande impianto di estrazione d'Europa non ha predisposto misure adeguate all'eccezionalità dell'intervento di Eni e Total. Come ha detto qualcuno ci si è seduti sul bancomat dei barili, senza ragionare, prevenire, proteggere cittadini e territorio. Pensare di affrontare un impatto simile sull'ambiente, con quattro ufficietti, con dentro parenti e amici degli amici, è stata una follia.
Il presidente Pittella sostiene di non avere avuto tempo. Eppure sono tre anni che siede sulla poltrona di Governatore. E prima ha ricoperto altri incarichi importanti, legati alle attività produttive. Qui non è in ballo la reputazione o la carriera politica di tizio o di caio. Qualcuno deve spiegare perché i bambini lucani si ammalano più dei loro coetanei del resto d'Italia. C'è in ballo la salute di 600mila persone, senza contare le conseguenze per tutto il resto dell'economia, a partire dal settore agroalimentare. Ma una cosa è l'inchiesta, un'altra è la svolta nei controlli, nella prevenzione e nella difesa davanti al mondo del marchio Basilicata. Bisogna rimboccarsi le maniche. Servono idee, progetti e la scelta non più prorogabile di una classe dirigente seria, onesta, preparata che guardi al futuro, all'altezza dei problemi da affrontare e non ferma alle logiche delle clientele del secolo scorso. Il tempo è scaduto. Petrolio, industrie e salute possono stare insieme. Chi non se la sente facesse un passo indietro.