venerdì 4 maggio 2018

MARINAGRI IL TEMPO E’ GALANTUOMO DE MAGISTRIS AVEVA RAGIONE


1)    Luigi De Magistris aveva ragione.

Dieci anni or sono all’incirca, Luigi De Magistris, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, richiese ed ottenne il sequestro del complesso turistico denominato Marinagri.
Un primo sequestro fu annullato. Un secondo sequestro fu ritenuto legittimo dal Tribunale del Riesame e dalla Corte Suprema di Cassazione che, con sentenza n. 38157/2008, relatore Iasillo, Presidente Pagano, con approfondita motivazione rigettò il ricorso dell’autorevolissimo avv. Paola Severino.
Affermò, il giudice di legittimità, che le costruzioni erano da considerarsi illegittime in quanto la società costruttrice non aveva provveduto all’innalzamento degli argini secondo le prescrizioni date dalle autorità.
Sull’operato di De Magistris vi furono provvedimenti disciplinari con il trasferimento a Napoli e successivamente, da parte dell’interessato, l’abbandono della magistratura.
Nello stesso torno di tempo vi fu un’indagine della Procura di Salerno che coinvolgeva magistrati calabresi e fors’anche lucani.
Ma quell’indagine non ebbe fortuna anche a causa di un improvvido intervento del Presidente della Repubblica che causò sanzioni nei confronti dei magistrati salernitani.
Tornando alle vicende di Catanzaro, in relazione alle violazioni urbanistiche, si svolse il processo in primo grado, con rito abbreviato, nei confronti dei dirigenti di Marinagri.
All’udienza non partecipò il pubblico ministero titolare delle indagini che, sostituendo De Magistris, aveva impiegato un anno per studiare gli atti, ma altro sostituto che richiese un’ora di tempo per esaminare la questione.
Si trattava di un genio perché in una sola ora fu capace di operare una sintesi sulla base di documenti raccolti in poco meno di 50 faldoni.
Richiese l’assoluzione che il GUP pronunciò.
Vi fu appello con successiva conferma.
Il sostituto Procuratore Generale formulò ricorso ampio e articolato lasciando più di qualcuno col fiato sospeso perché sulla questione di diritto, sia pure in sede cautelare, la Corte di Cassazione si era già pronunciata smentendo l’avv. Severino (Cass. pen. 38157/2008).
Come ho già detto in precedenza, purtroppo, il diavolo ci mise la coda e quel ricorso fu depositato con un giorno di ritardo il che, subito dopo, provocò la rinuncia da parte della Procura Generale.
La vicenda penale, dunque, si concluse con questo piccolo incidente.
Ma i nodi vengono al pettine ed oggi dobbiamo procedere ad una verifica sulla vicenda Marinagri e soffermarci sullo stato dell’arte.
Del complesso Marinagri è stata realizzata poco meno della metà.
Prima vittima di quel complesso è il territorio del Comune di Scanzano Jonico.
La società proponente aveva previsto che il porto che si sarebbe realizzato avrebbe potuto provocare l’accentuazione del fenomeno dell’erosione costiera.
Prometteva, quindi, opere di difesa di vario tipo compreso il ripascimento mediante apporto di sabbia.
L’erosione si è verificata ma i rimedi preventivati non sembrano aver sortito alcun effetto.
Oggi si parla di vero e proprio disastro ambientale.
Nei mesi scorsi la società Marinagri, in gravissime difficoltà economiche, ha richiesto un concordato fallimentare liquidatorio. In buona sostanza, il manager del complesso afferma che con il patrimonio di cui dispone la società sarebbe in grado di onorare tutti i debiti vendendo gli immobili nel termine di 4 anni e si riserverebbe, dopo quella data, la decisione di proseguire o liquidare il tutto.
In quell’evenienza, non si sa bene chi dovrebbe provvedere alla presentazione della relazione biennale sugli argini ed alle eventuali opere necessarie.
Alla luce di questi risultati occorre ora dire che Luigi De Magistris aveva ragione.
Si può dunque concludere che il vecchio adagio costituito dalla frase “il tempo è galantuomo” cade a proposito.
2)    Vincenzo Vitale ha invece torto
Il noto editorialista di un quotidiano locale, Nino Grasso, attualmente dirigente dell’ufficio stampa della Regione, tesseva gli elogi dell’iniziativa e parlava di oltre mille occupazioni che quell’iniziativa avrebbe apportato.
Le nuove maestranze purtroppo non ci sono.
Gli appaltatori ancor oggi combattono per ottenere i propri crediti.
Le procedure aperte con la richiesta di concordato preventivo sono all’esame dell’autorità giudiziaria.
Come antico oppositore di quel complesso sorto nel letto del fiume Agri mi assumo l’onere di esprimere le mie opinioni al Tribunale di Matera e al Procuratore della Repubblica cui spetteranno azioni e decisioni.
Ho già detto in passato che quella è un’area sfortunata.
Lì doveva realizzarsi l’attività di allevamento del pesce e quella industriale di trasformazione e inscatolamento, ma da quell’area una scatoletta di pesce non è mai uscita.
Dopo qualche decennio sempre lo stesso manager, con altro organismo, richiese ed ottenne dalla Cassa per il Mezzogiorno un finanziamento di ben 25 miliardi di lire per realizzare, senza un proprio apporto economico, un centro per l’acquacoltura.
Ma anche questa iniziativa fallì a seguito di vicende giudiziarie che gli interessati potranno conoscere attingendo agli atti del processo e delle attività amministrative.
Siamo adesso alla terza fase.
Il Vitale si giustifica con i ritardi causati dalle indagini giudiziarie.
Ma non è così.
Quell’iniziativa era sbagliata e tale rimane.
Ne è dimostrazione il fatto che molti appaltatori delle opere edilizie non hanno ricevuto il corrispettivo ed altri hanno dovuto accettare di comprare essi stessi gli immobili costruiti.
E del resto rivendica il pagamento, tra gli altri, il difensore che lo ha assistito a Catanzaro.
Si porranno il Procuratore della Repubblica di Matera e i giudici fallimentari la domanda: ma questo manager, è affidabile?
Dovranno formarsi una opinione.
Mi permetto di fornire loro alcuni elementi:
1. i due comuni che ospitano l’intervento, Scanzano Jonico e Policoro, non hanno tratto vantaggi dall’iniziativa. Per Scanzano Jonico vi è il disastro ambientale ed un consistente credito da recuperare. Per Policoro vi è da recuperare un credito di oltre 1 milione di euro. Certo il manager promette di poter pagare tutto.
Mi auguro che non siano promesse da marinaio per i motivi che seguono.
2. Mi è capitato di trovare sul sito della Corte Suprema di Cassazione la sentenza n. 42087/2016 della III sezione penale.
Racconta di tale V.V. che nell’anno 2013 aveva prodotto una dichiarazione annuale IVA recante un debito di € 876.853,00 (ottocentosettantaseimilaottocentocinquatatre,00) da pagarsi entro il 27/12/2016.
Furono versati alcuni spiccioli (meno di € 20.000,00) per cui vi fu la denuncia penale da parte della Agenzia delle Entrate.
Avviato il procedimento penale veniva effettuato un sequestro preventivo sulle proprietà personali del benestante V.V..
Emerse che tali beni sarebbero stati in precedenza donati ai figli per cui il V.V. propose un fiero ricorso alla Corte di Cassazione.
Orbene il giudice di legittimità in considerazione del fatto che a Marinagri non vi erano “soldi in cassa”, ha ritenuto rituale il sequestro ed ha rigettato il ricorso, dopo aver fatto presente come il giudice della cautela avesse sottolineato la circostanza dell’avvenuta donazione effettuata in momento successivo all’avviso di accertamento tributario.
Nelle more, ed in primo grado, si è concluso il processo penale.
V.V., imputato di reato tributario, si è difeso sostenendo di aver diritto alla compensazione del credito della Agenzia delle Entrate con un proprio credito.
In tal senso avrebbe reso testimonianza il commercialista che si sarebbe personalmente occupato della pratica.
Sennonché,  il direttore della Agenzie delle Entrate, chiamato a testimoniare dal giudice, riferiva che la compensazione non era possibile anche perché il credito offerto in compensazione era già stato precedentemente ceduto.
Quindi, V.V. chiede la compensazione e con questa giustifica il mancato pagamento, il che rende non veritiera la testimonianza del commercialista.
Entrambi tacciono su un’altra decisiva circostanza: il fatto che quel credito non poteva essere dato in compensazione perché già ceduto ad altri.
Vi è quindi una dichiarazione testimoniale non veritiera e fors’anche  un tentato raggiro nei confronti dell’Agenzia che per fortuna non è caduta nel trabocchetto.
La scrupolosa attività del giudice penale di Matera ha poi portato, all’udienza dell’1/12/2017, ad una condanna di V.V. ad anni 1 e mesi 2 di reclusione – senza sospensione condizionale della pena e alla confisca dei beni frettolosamente donati allorquando è pervenuto l’avviso di accertamento tributario. 
CONCLUSIONI
1.    La dichiarazione del commercialista nel processo non appare veritiera.
Non è forse il caso di esaminarla per stabilire se il teste sia meritevole di un’accusa di falsa testimonianza?
2.    V.V. chiede la compensazione e tuttavia dispone diversamente del credito da compensare. Non è per caso incorso nel tentativo di reato di cui all’art.640 c.p.?
Tanto premesso, chiedo al Procuratore della Repubblica:
in presenza degli episodi citati e della conclamata situazione di crisi o insolvenza, non sarebbe il caso di richiedere il fallimento a garanzia dei privati creditori e soprattutto a garanzia dell’Erario e degli enti pubblici?
Dakar (Senegal), Liberté 6, 17 aprile 2018.
                                                          
                                                                                       Ottavio Frammartino