
Resta, infatti, l’udienza in appello per
Vincenzo Vitale e Marco Vitale (titolari del villaggio turistico), Nicolino
Lopatriello, ex sindaco di Policoro, e Felice Viceconte, dirigente del settore
'Urbanistica' al Comune di Policoro. Concorso in truffa aggravata e violazioni
edilizie nella realizzazione del villaggio Marinagri sono i reati loro
contestati , .
Restano dubbi, inoltre, anche su 29 ettari di terreno di sospetta proprietà, ma
che furono decisivi per i Vitale. I quali, ottenendone il riconoscimento, hanno
messo le mani su un grosso finanziamento pubblico. Cioè la linfa che ha nutrito
il villaggio Marinagri.
Il filone ancora in piedi
I 4 imputati, rinviati a giudizio su
richiesta del pm di Catanzaro Capomolla a luglio del 2009, si sono avvalsi del
rito abbreviato. Il giudice per l’udienza preliminare, Gabriella Reillo, li ha
assolti il 12 novembre 2009 “perché il fatto non sussiste” dopo che il pm
d’udienza (Cianfarini) ne aveva chiesto l’archiviazione. A tutt’oggi resta in
piedi il ricorso in appello del sostituto procuratore della Corte di Appello di
Catanzaro, Eugenio Facciolla. Che il 15 settembre del 2010, senza fare sconti
al gup, nella richiesta di appello afferma che il giudice, assolvendo gli
imputati “ha violato la legge penale”.
Il casus belli: "le particelle di
terreno riconosciute illegittimente all'Ittica Val d'Agri"
Il pubblico ministero, impugnando la
sentenza, si sofferma anche sulle “particelle di terreno erroneamente
attribuite all’Ittica Valdagri”. Si tratta di 29 ettari che, come testimoniano
alcune foto dell'Istituto militare, erano emersi dopo un’alluvione che aveva
ridisegnato il letto del fiume Agri, tra gli anni ‘50 e il '72. E cioè prima
che Vincenzo Vitale, con l’Ittica Valdagri, nel 1973, rilevasse dei terreni,
per la precisione 150 ettari, nella stessa zona. Zona in cui a distanza di 30
anni avrebbe poi trovato le sue fortune il villaggio ‘Marinagri’. I 29 ettari,
nodo del contendere, Vitale li accatasterà solo nel '76. Facendo ritenere che
erano emersi dopo l'acquisto della proprietà. Se fosse stato così avrebbe
potuto far leva sul principio dell’alveo abbandonato, sancito dall’art.46 del
codice civile. Ma le foto dell'Istituto militare dicono che i 29 ettari prima
del 1973, anno in cui con un decreto d’urgenza il Prefetto di Matera espropria
i terreni all’Ente Irrigazione e li affida a Vitale. Da lì una contesa, ancora
in corso, tra l’Alsia, che ha ereditato quei 29 ettari dall’ex Esab, prima Ente
Irrigazione, e la stessa società Marinagri. A fine gennaio è previsto un
tentativo di conciliazione. Ma la questione non riguarda solo la contesa
civile. E' un punto centrale anche nell'inchiesta penale.
Perchè i 29 ettari sono centrali anche
nell'inchiesta penale?
“Solo in forza del riconoscimento di
proprietà di quegli ettari – specifica il pm Facciolla – il Gruppo Vitale ha
potuto vantare la disponibilità dei terreni interessati dall’insediamento
edilizio. Ed è riuscito ad ottenere così ingenti finanziamenti pubblici”. Ma
proprio il modo in cui il Gruppo Marinagri ottiene il riconoscimento sulla
proprietà di quegli ettari è un punto controverso.
I 29 ettari e la doppia versione
dell'ingegner Pepe
In due precedenti occasioni, precisa il
pm Facciolla, “l’ingegner Pepe dell’Ufficio del Territorio di Matera risulta
aver espresso parere negativo a tale riconoscimento di proprietà con giudizi
precisi e ineccepibili”. Pepe avrebbe riconosciuto che “quei terreni si erano
formati prima che la proprietà venisse attribuita ai Vitale”. E cioè prima del
1973. “I terreni erano sempre stati considerati demaniali”, avrebbe sentenziato
l’ingegner Pepe con due pareri, nel 1997 e 1999. Ma nel 2003, scrive ancora
Facciolla, “Vincenzo Vitale chiedeva nuovamente il riconoscimento della
proprietà sulle particelle in questione. E dopo appena 6 giorni, Pepe, mutando
radicalmente orientamento, rendeva parere questa volta positivo”.
Puzza di bruciato
Ciò che più puzza di bruciato secondo il
pubblico ministero è che “tutti i pareri negativi” precedentemente emessi
dall’ingegner Pepe “non sono stati ritrovati nella pratica presso la Direzione
Generale dell’Agenzia del Demanio di Roma”. Praticamente spariti. E non è
tutto. Lo stesso Pepe ai carabinieri dichiarò in seguito “di non aver mai
espresso pareri negativi in merito alla richiesta dei Vitale”. Mentre il suo
collega Morelli, che lavorava nello stesso ufficio, riferisce che “proprio Pepe
durante l’istruttoria della domanda dei Vitale lo aveva invitato a ‘lasciar
perdere’ la vicenda autoassegnandosi il fascicolo poi licenziato con il parere
favorevole”. Nello stesso periodo, sempre Morelli, “aveva constatato
l’esistenza di stabili rapporti di frequentazione tra Pepe e i Vitale”.
"Partecipazione dolosa al progetto
dei Vitale. I rapporti con l'Amministrazione di Policoro"
Tra il 17 e il 18 aprile 2001 la
Marinagri s.p.a chiedeva e otteneva dal Comune di Policoro il cambio di
destinazione d’uso di una parte dei terreni da edificare. Da
turistico-residenziale a ricettivo-alberghiera. Ma in realtà, sostiene
Facciolla, “la destinazione diversa serviva allo spostamento dell’ubicazione di
uno degli alberghi previsti, e in corso di finanziamento del Cipe, dal comparto
ricadente nel Comune di Scanzano a quello nel Comune di Policoro”. Perché
questo cambiamento repentino? “Il sindaco di Scanzano Altieri – ricorda il pm –
a differenza del compiacente sindaco di Policoro Lopatriello, si opponeva al
progetto. E aveva bloccato l’iter di finanziamento pubblico. Occorreva
rimuovere l’impasse”. Tempi di record per la risoluzione del problema. In un
giorno, dal 17 al 18 aprile 2001, l’istanza di Marinagri, per cambiare la
destinazione d’uso dei terreni, viene accolta dalla giunta di Policoro. La
pratica, spiega il pm, “viene istruita dal tecnico Comunale Viceconte. E la
Giunta, presieduta dal sindaco Lopatriello, si riunisce il giorno dopo
accogliendo la richiesta”. Ma c’è anche dell’altro. Lopatriello e Felice
Viceconte, sostiene Facciolla, “il 15 gennaio 2002 inviarono al Ministero delle
Attività produttive e al Cipe una missiva con cui sostenevano la cantierabilità
delle opere da finanziare a Marinagri, ben guardandosi dal segnalare che dal
giorno prima, il 14 gennaio, era divenuto efficace il Pai (Piano di Assetto
idrogeologico, ndr) che imponeva sull’intera area il vincolo di inedificabilità
assoluta per l’alto rischio idrogeologico”. La stessa missiva, sottolinea
Facciolla, “seppur proveniente da organi pubblici, risulta trasmessa a mezzo
telefax dalla società Et&m Di Marco Vitale e dalla Ittica Valdagri, sempre
dei Vitale, e cioè da quegli stessi privati interessati al finanziamento
perorato dai due pubblici amministratori”. Una prova, questa, secondo
Facciolla, di “partecipazione dolosa” di Lopatriello e Viceconte “al progetto
criminoso dei Vitale”.
La variante concessa in 4 mesi da Bubbico
Il Piano di Assetto Idrogeologico è un
atto di programmazione urbanistica che tutela il territorio di competenza
dell’Autorità di Bacino della Basilicata da fenomeni calamitosi. Il Piano entra
in vigore il 14 gennaio 2002. Da quella data in poi, anche sui terreni
interessati dall’intervento di Marinagri, sussiste un vincolo di
inedificabilità. “In modo sfacciato – sostiene il pm – Vincenzo Vitale presenta
istanza per ottenere una Variante che elimini il vincolo sulle aree che
riguardano il progetto” Marinagri, sostenendo la ‘benché minima possibilità di
inondazione anche nell’ipotesi di eventi estremi’”. Il 16 gennaio (2002)
l’Autorità di Bacino effettua un sopralluogo e due giorni dopo emette parere
favorevole ad accogliere l’istanza chiesta da Vitale. “Il 3 maggio - chiarisce
ancora il pm - la Commissione tecnica all’uopo nominata si esprimeva per
l’ammissibilità della Variante con prescrizione di innalzamento degli argini, e
imponendo al privato una relazione biennale sullo stato degli argini stessi,
pena la revoca delle autorizzazioni”. Il 28 maggio 2002 “il Comitato
istituzionale dell’Autorità di Bacino, presieduto dal Governatore Bubbico,
delibera l’approvazione della Variante”. Ma nel 2007, e cioè 5 anni dopo,
quando la Procura di Catanzaro manda i tecnici a fare i primi sopralluoghi “non
erano stati realizzati innalzamenti di argini né erano state redatte relazioni
sugli stati degli stessi, che avrebbero dovuto avere cadenza biennale”.
"Il privato non ha adempiuto alle
prescrizioni"
“Se l’innalzamento degli argini doveva
servire a rimuovere il vincolo di inedificabilità – aggiunge Facciolla -
bisognava prima effettuare le opere da parte del privato, poi verificarne la
consistenza da parte dell’autorità amministrativa e solo in caso di esito positivo
procedere con le costruzioni”. Facciolla, quindi, nel suo ricorso alla Corte di
Appello, punta su un principio: “Il privato non ha adempiuto alle prescrizioni
imposte” e cioè all’innalzamento degli argini, come evidenziato da un controllo
della Procura di Catanzaro del 2007. Ragion per cui “la Variante ha perso
valore”. E così anche “l’intervento edificatorio”.
In attesa di appello
Abbiamo raccontato questi retroscena del
processo che vede coinvolti i quattro imputati lucani a Catanzaro non
per sostituirci al giudizio penale dove oggi si terrà la seconda udienza e dove il Pm Facciolla nella precedente aveva chiesto la condanna delle persone coinvolte applicando le sanzioni minime previste dal codice , ma nella speranza che sia un giudizio di immocenza o colpevolezza , sia senza ombre in una vicenda che ha segnato e segnerà il futuro di questa città.
Da quello che si legge sul metapontino (assolti lopatriello e co.) evidentemente cio che ha scritto fFacciolla sono tutte cazzate.
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