«Dall’ascolto della telefonata non si percepisce la presenza di soggetti diversi da Ierone e Lopatriello né emergono incongruenze tra le frasi effettivamente pronunciate dagli intelocutori e quelle riportate nel verbale di trascrizione». È la convinzione dei giudici del collegio del Tribunale del riesame che hanno motivato a distanza di poco più di un mese la decisione di respingere i ricorsi presentati dalle difese degli indagati, arrestati il 13 gennaio nell’ambito dell'inchiesta sul “sistema Policoro”. Confermato il quadro indiziario alla base delle misure cautelari. Il riesame parla di un «vero e proprio sistema illecito, caratterizzato dalla realizzazione di attività corruttive poste in essere attraverso la costante strumentalizzazione della funzione rivestita al fine di conseguire indebiti vantaggi di natura patrimoniale », e a proposito del pericolo di inquinamento delle prove aggiunge che «del resto, tenuto conto dell’articolata attività di acquisizione probatoria compiuta successivamente all’esecuzione del provvedimento (qui si intendono gli arresti.ndr) deve ritenersi che le esigenze cautelari in tal senso ipotizzate dal gip siano state ormai pienamente soddisfatte ». Come a dire che il grosso del processo è già al sicuro in cassaforte, e gli indagati non possono più farci nulla, quindi è giusto ripensare le restrizioni nei loro confronti se non fosse per il rischio che commettano altri reati dello stesso tipo. Il collegio ha esaminato una per una le questioni sollevate dalle difese, facendo particolare attenzione alle posizioni più delicate come quella del sindaco di Policoro, Nicolino Lopatriello, che ha negato di aver pronunciato le parole registrate nel suo studio dalle microspie della guardia di finanza il giorno in cui Giovanni Colamarino, rivenditore di lampade da installare per l'ammodernamento degli impianti d’illuminazione del Comune, avrebbe consegnato una mazzetta da quattromila euro nelle mani dell’assessore ai lavori pubblici Cosimo Ierone. Tutt’altro paio di maniche se verranno nominati dei periti, ma per ora fa testo quanto scritto dagli agenti di polizia giudiziaria. Argomenti che non appaiono idonei per elidere «il solido quadro indiziario emerso», rafforzato dai riscontri più recenti che quando il gip Roberto Scillitani ha disposto gli arresti per il sindaco, l’assessore e altre undici persone, non erano nemmeno stati esaminati. Come le dichiarazioni di Sandro Gigante, socio occasionale di Colamarino, che è quello che davanti alle richieste per “agevolare”le procedure per l’affidamento delle forniture di lampade al Comune si era tirato indietro. «Fai uno sforzo questa volta, c’è un consigliere che rompe le scatole». Sentito dai militari della fiamme gialle il giorno stesso del blitz ha raccontato che le parole di Lopatriello sarebbero state queste, e le accuse nei suoi confronti sono state archiviate il 31 gennaio. Poi ci sono le dichiarazioni dell’avvocato Luigi Rotunno, un altro socio di Colamarino, che ha confermato le richieste di Lopatriello a Gigante e il pagamento effettuato a Colamarino a Ierone. Infine quelle del manutentore degli impianti d’illuminazione di Policoro, Giuseppe Pascale, che ha detto di aver consegnato una seconda mazzetta da 2.700 euro a casa dell’assessore da parte di una seconda cordata di imprenditori interessati anche loro alla fornitura di lampade per il Comune. Episodi «tutt’altro che occasionali », scrivono i giudici del Riesame, tenuto conto che sono andati avanti per almeno un anno e tre mesi,e hanno richiesto la partecipazione di più persone che hanno agito in maniera collaudata. «Pervicacia nel perseguire i loro obiettivi illeciti (...) indubbia propensione a delinquere». Il collegio non si è risparmiato nulla ricostruendo anche i rapporti di vicinanza e comune militanza politica tra Lopatriello, Ierone, il presidente della cooperativa di ortofrutta Campoverde, Giuseppe Benedetto, il vecchio vicesindaco di Policoro, Felice D’Amato, e il direttore dell’Orohotel di Policoro Rocco La Rocca
Brano Tratto Dal Quotidiano della Basilicata
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