venerdì 12 marzo 2010

Clientelismo e alternativa

PIERO DI SIENA

Si potrebbe anche dire che per merito dell’episcopato lucano, e in particolare del vescovo di Potenza, mons. Agostino Superbo, che sicuramente è tra gli ispiratori delle recenti posizioni della Cei sul Mezzogiorno, il ceto politico che governa la Regione incomincia a riconoscere che il clientelismo è una delle peggiori piaghe che colpiscono la Basilicata. Ma si potrebbe anche aggiungere che se la Chiesa lucana abbandonasse un certo generico moralismo e incominciasse ad additare le responsabilità forse ci saremmo risparmiati dall’ascoltare o leggere le affermazioni opinabili che il sindaco di Potenza, Vito Santarsiero, si è sentito di fare in occasione della discussione sull’ultimo documento della Cei avvenuta a Potenza.
Secondo il sindaco della città di Potenza, che è anche uno dei più autorevoli esponenti del Pd e del centrosinistra in Basilicata, è vero che il clientelismo nella nostra regione rischia di soffocare la buona amministrazione, ma la responsabilità di questa situazione va equamente ripartita tra amministratori e cittadini, essendo i primi assediati continuamente da richieste improprie, dalla ricerca di favori, di scorciatoie per giungere a realizzare il particolare interesse di una marea di questuanti soffocante. Il ragionamento di Santarsiero non farebbe una grinza se a quei genitori che chiedono un posto di lavoro per i propri figli, a quelle imprese che chiedono agevolazioni negli appalti, a tutti quelli che chiedono licenze edilizie fuori da ogni norma, l’amministrazione e la politica avessero offerto un’alternativa. Tutti sappiamo che non è così. E allora qualcuno spieghi che cosa avrebbero dovuto e dovrebbero fare quelle imprese, quei genitori, quei cittadini.
Santarsiero sicuramente sa quanta sofferenza, quanta umiliazione, subisce un genitore che è costretto a chiedere per un proprio figlio, spesso ultratrentenne, come un favore quello che la Costituzione sancisce come un diritto. La possibilità, cioè, di accedere a un posto di lavoro. E sa certamente che in questa condizione sono ormai costretti non solo chi appartiene alle classi più deboli, ma professionisti, gente agiata, che sa che non può durare a lungo il fatto che i figli vivano in età adulta a carico dei genitori. E sa anche che spesso si mette in moto una relazione tra politici, amministratori e cittadini, per la quale basta solo dimostrare interessamento, millantare una qualche possibilità di risolvere il problema che viene sottoposto all’attenzione per ottenere gratitudine. E’ terribile ma è così.
Perciò, siamo ancora in tempo, all’inizio di questa competizione elettorale per la Regione, per porci l’obiettivo di formulare un sistema di regole – per gli appalti, per l’accesso al lavoro, per la realizzazione dei propri individuali obiettivi – che sia trasparente e oggettivo, che dia la sensazione che dall’arbitrio e dalla discrezionalità si cominci a passare finalmente a principi di equità e giustizia.
Naturalmente a nessuno di noi deve sfuggire che le cause oggettive del clientelismo sono ben altre. Più che dal costume e dalle abitudini dei nostri concittadini, che pure contano, esso deriva dalla penuria delle risorse e dalla ristrettezza delle opportunità. C’è un problema di modello di sviluppo, di un’assenza di prospettive per le giovani generazioni, la cui responsabilità è sostanzialmente estranea alle classi dirigenti locali. E sta tutta nelle politiche nazionali dell’ultimo ventennio. Ma il Mezzogiorno non è nuovo a classi dirigenti che hanno alimentato le loro fortune e il consenso attorno a sé lucrando sulla condizione di stagnazione e di subordinazione della società che hanno governato. In Italia siamo di fronte al paradosso che il successo della destra nasce dal fatto che essa si alimenta della rovina del paese. In Basilicata non siamo a questo punto. E a nessuno deve sfuggire che se il centrosinistra non dovesse riconfermarsi forza di governo, di fronte alla regione si aprirebbe un baratro. Ma sulla base clientelare del suo sistema di potere si attende da tempo una svolta. E’ ora non di trovare giustificazioni, di non abbandonarsi a spiegazioni sociologiche di comodo, ma di dare un segnale. Lo si faccia prima che sia troppo tardi.

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