Svelenire il clima, disinnescare la dissoluzione che ha messo a repentaglio la stessa celebrazione del congresso nazionale del prossimo 24-27 luglio. È questa la «missione» che si è assunto il governatore della Puglia Nichi Vendola, candidato alla segreteria del Prc per la mozione uno con una lettera a Liberazione. Il titolo della lettera è insieme un'analisi delle ultime diatribe interne e la proposta: «Il cattivo congresso e la buona politica da ricostruire insieme». Il destinatario è lo schieramento avverso: la mozione due che porta il nome del primo firmatario rigidamente in ordine alfabetico Maurizio Acerbo ma che ha come alfieri l'ex ministro Paolo Ferrero e l'ex capogruppo dei senatori Giovanni Russo Spena.
Vendola parte da un ragionamento: il clima livoroso, «la privatizzazione della politica e l'americanizzazione della società che ha travolto tutto e tutti» ha contagiato anche Rifondazione. È quello che alcuni hanno chiamato «la balcanizzazione» del partito, la lotta tra le mozioni e nei congressi di circolo a colpi di ricorsi per tesseramenti non validi o «truppe cammellate» dell'ultim'ora dall'una e dall'altra parte.
La proposta di mediazione per una tregua di lunga durata avanzata da Vendola è quella - che appare generica ad osservatori esterni - di «mettere in campo un percorso alternativo alla gazzarra confusa e regressiva di piazza Navona: di essere capaci di spargere semi buoni, di quella buona politica che non altera il proprio volto con rancori giustizialisti o con conati di volgarità sessista». Ma anche, su questa via, di sgombrare il campo da «nevrotici guazzabugli procedurali e politici» dentro il Prc. Più che una proposta, un appello affinché non prevalga «quello spirito di dissoluzione che tutti, a parole, dicono di voler bandire e che invece rischia di prodursi come una dinamica fatale».
Il fatto è, dice il candidato segretario, che si deve andare a Chianciano, al congresso nazionale, «per ricominciare, per ricostruire questo nostro partito». Non dissolverlo quindi, né per scioglierlo in un magma indistinto. E che il congresso non deve chiudersi su se stesso. Lui - parla in prima persona - dice di non sentirsi «sulle spalle» «una responsabilità al cinquanta per cento». Ma, si chiede, si può immaginare che su quello zero virgola qualcosa che fa la differenza tra una maggioranza relativa e una assoluta si celebri un'ordalia?». E prosegue parlando con un «noi».
Vendola parte da un ragionamento: il clima livoroso, «la privatizzazione della politica e l'americanizzazione della società che ha travolto tutto e tutti» ha contagiato anche Rifondazione. È quello che alcuni hanno chiamato «la balcanizzazione» del partito, la lotta tra le mozioni e nei congressi di circolo a colpi di ricorsi per tesseramenti non validi o «truppe cammellate» dell'ultim'ora dall'una e dall'altra parte.
La proposta di mediazione per una tregua di lunga durata avanzata da Vendola è quella - che appare generica ad osservatori esterni - di «mettere in campo un percorso alternativo alla gazzarra confusa e regressiva di piazza Navona: di essere capaci di spargere semi buoni, di quella buona politica che non altera il proprio volto con rancori giustizialisti o con conati di volgarità sessista». Ma anche, su questa via, di sgombrare il campo da «nevrotici guazzabugli procedurali e politici» dentro il Prc. Più che una proposta, un appello affinché non prevalga «quello spirito di dissoluzione che tutti, a parole, dicono di voler bandire e che invece rischia di prodursi come una dinamica fatale».
Il fatto è, dice il candidato segretario, che si deve andare a Chianciano, al congresso nazionale, «per ricominciare, per ricostruire questo nostro partito». Non dissolverlo quindi, né per scioglierlo in un magma indistinto. E che il congresso non deve chiudersi su se stesso. Lui - parla in prima persona - dice di non sentirsi «sulle spalle» «una responsabilità al cinquanta per cento». Ma, si chiede, si può immaginare che su quello zero virgola qualcosa che fa la differenza tra una maggioranza relativa e una assoluta si celebri un'ordalia?». E prosegue parlando con un «noi».