mercoledì 9 luglio 2008

Fermiamo il Caimano

Manifestazione contro il decreto blocca processi
Luca Marcenaro
«Tolleranza zero, impunità mille». Sono queste le parole d'ordine con cui Paolo Flores d'Arcais da il via alla kermesse antiberlusconiana convocata da Micromega. Lo accolgono migliaia di persone ( centomila secondo gli organizzatori, quindicimila per la questura, quindi più probabilmente trentamila) assiepate in una piazza Navona quasi colma, transennata da ogni lato dalle forze dell'ordine. Ci sono tutti. I girotondini della prima ora, i fedelissimi dell'ex Ministro per le infrastrutture Antonio Di Pietro, gli "Amici di Beppe Grillo", e anche tanta sinistra. Quella che fu Arcobaleno è ben rappresentata (Paolo Ferrero per Rifondazione Comunista, Manuela Palermi per il Pdci, il verde Angelo Bonelli e quasi tutti i dirigenti di Sinistra Democratica), ma non passano inosservati giornalisti, scrittori, artisti più o meno noti. Sono agguerriti. Quando Antonio Di Pietro, l'unico leader politico con licenza di microfono, sale sul palco e prende la parola, è l'apoteosi. La folla lo chiama. Lui risponde: «Le alte cariche dello Stato siano innocenti, non impunite». Applausi a scena aperta. Tutti contro il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, of course, ma molti anche contro il Partito Democratico e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Beppe Grillo, temutissimo fin dalla vigilia, ruba la scena alle 8 della sera. Ne ha per tutti. «Ve lo immaginate - chiede - Pertini che firma una legge che lo rende immune dalla legge? Io vorrei sapere chi è Napolitano, che quando a Chiaiano c'erano le cariche della polizia lui era a Capri che festeggiava con due inquisiti, Bassolino e la moglie di Mastella». Marco Travaglio, dal canto suo, rincara la dose:« Fino ad ora - dice- il Quirinale ha firmato tutto, compresa l'aggravante razziale. Speriamo la smetta».
Qualche applauso, molto imbarazzo. Come quello del senatore del Pd Furio Colombo: «Ho sentito insulti rovesciati - si rammarica- se non ci fosse la questione rom me ne sarei già andato». Come lui, molti altri manifestanti che la piazza l'abbandonano per davvero dopo il pesante attacco sferrato al Papa da Sabina Guzzanti. Finisce così, non senza polemiche e qualche distinguo, quello che era cominciato come un appuntamento orgoglioso, ma tutto sommato sereno.
Sotto al palco, migliaia di bandiere già dalle prime ore del pomeriggio. Dell'Italia dei Valori (moltissime), di Sinistra Democratica, Pdci, Partito Comunista dei Lavoratori e anche, poche per la verità, di Rifondazione Comunista. C'erano perfino, nonostante la rinuncia del partito, alcuni sparuti vessilli del Pd e addirittura due bandiere del defunto Ulivo. C'erano giovani e meno giovani, quasi tutti attrezzati con gadget e magliette: "Fermiamo il caimano". E proprio Berlusconi è stato, almeno all'inizio, il bersaglio preferito di una piazza che non ha dimenticato, ma in parte trascurato, questioni salariali e quelle leggi antirom che Rita Borsellino in collegamento telefonico non ha esitato a definire "razziali". Colonna sonora Zucchero, di nome ma questa volta certamente non di fatto, e la sua "Wonderful life". Eppure, la signora con tanto di cartello "noi girotondini", non sembrava avere molto di che rallegrarsi: "Berlusconi è peggio di Hitler". Come minimo esagerato. Tra tante presenze, però, anche qualche assenza illustre. Tra tutte, è spiccata quella di Nanni Moretti, che nel 2002, da questo stesso palco, incalzò i dirigenti di quello che allora era il centrosinistra: «Con loro - disse- non vinceremo mai». Si sbagliava. Ma questa è un'altra storia.

2 commenti:

  1. La Repubblica sconfessa piazza Navona, che succede a sinistra?

    Curzio Maltese per Repubblica

    Manifestazioni come quella di Piazza Navona dell'altro giorno sono show business. Servono a sfogare i sentimenti di un pubblico di spettatori, servono ai protagonisti a vendere merci sul mercato: libri, dvd, spettacoli teatrali. Non servono a cambiare le cose. Quindi non sono politica. I guai cominciano se si scambia lo show business per politica e lo si prende sul serio.

    Quando Beppe Grillo o Sabina Guzzanti o altri comici sanno di dover intervenire a una manifestazione pubblica, riuniscono i loro autori e chiedono un "pezzo" efficace. Un testo per una riunione politica è diverso da un testo comico per il teatro, ma segue regole rigide. Non dev'essere serio ma neppure troppo divertente: sarebbe un errore. Si bruciano belle battute del repertorio, che è giusto riservare al pubblico pagante dei teatri e dei palazzetti.

    Oltretutto, se la gente ride troppo, pensa. E se pensa non si scalda abbastanza, non urla. Bisogna dunque tenere alto il livello dell'emozione e "spararle grosse". Contro un bersaglio non scontato. Altrimenti non si fa notizia. Occorre anche valutare se alla manifestazione parteciperanno altri comici, come nel caso di piazza Navona. In tal caso il livello di fuoco aumenta, perché si corre il rischio di essere oscurati dalla concorrenza, in gergo televisivo "impallati".
    La logica è simile a quella che si segue per lanciare un film o un libro in una comparsata televisiva importante, uno show del sabato sera o il festival di Sanremo. È inutile parlare del prodotto in sé, perché il pubblico se lo aspetta e si perde l'effetto sorpresa. Benigni, quando doveva lanciare un film, non andava a parlare del film da Baudo o dalla Carrà ma s'inventava memorabili performances, tipo toccare gli attributi di Baudo o palpare le curve della Raffaella nazionale, con gran successo di promozione. Non tutti naturalmente, parlando di sesso o di altri temi "bassi" - penso al magnifico "Inno del corpo sciolto" - mostrano il talento di poeta contadino di Roberto.
    Le allusioni sessuali comunque funzionano sempre, soprattutto in Italia. Un altro trucco è attaccare un bersaglio imprevisto e in teoria intoccabile. Insomma, se Grillo o la Guzzanti si fossero limitati ad attaccare Berlusconi, nessuno ne avrebbe parlato. Per questo, hanno spostato l'obiettivo sul presidente della Repubblica e sul Papa.

    Nulla è lasciato al caso. Si tratta di strategie calcolate, testi scritti e riscritti, trucchi del mestiere di grandi teatranti. Stiamo parlando di professionisti. Dello spettacolo. Scambiati per professionisti della politica. Da un punto di vista morale saranno discutibili. Ma che c'entrano la morale o la politica? In Italia, nel volgere di pochi secoli, si è finalmente capito che etica e politica sono separate. Per la verità, lo si è capito fin troppo. Un giorno si capirà che anche politica e spettacolo sono campi separati. Per ora, il giorno è lontano.
    Gli eventi creati di Beppe Grillo, dai Vaffa Day in poi, non sono azioni politiche. Il fine non è cambiare le cose, ma accrescere la popolarità del protagonista. Basterebbe un po' di lucida attenzione per comprenderlo. Purtroppo, chi vi partecipa e chi li osteggia non brilla in lucidità. La maggior parte dei bersagli di Grillo sono irrilevanti, innocui oppure marginali. Che importanza volete che abbia la presenza di diciotto parlamentari condannati in Parlamento, su mille, quando ce ne sono stati in passato due, tre, cinque volte tanti e 200 inquisiti?

    D'altra parte se la presenza in politica di un pregiudicato fosse un tema così importante, i seguaci di Grillo non si affiderebbero a lui, che ha una condanna definitiva e ricopre un ruolo politico, per quanto improprio, assai più importante dei diciotto messi assieme. Lo stesso discorso vale per altri obiettivi, come il doppio mandato, l'ordine dei giornalisti, i finanziamenti ai giornali di partito. Tutte storture, tutte battaglie condivisibili, s'intende, ma quisquilie. Nel caso del referendum sulla legge Gasparri non si tratta di una quisquilia, ma è ancora peggio. È un suicidio politico. Se si votasse oggi, quel referendum sarebbe una catastrofe per l'opposizione e un trionfo per Berlusconi. Ecc., ecc. il prosieguo su http://dagospia.excite.it/esclusivo.html

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  2. Dalla Repubblica ...

    Quanto ad Antonio Di Pietro, non gode forse degli stessi strumenti culturali di Flores, ma ha di sicuro fiuto politico. Capirà prima o poi che la strada in cui si è messo porta a un finale scontato: Grillo in cima alle classifiche dei best sellers e l'Italia dei Valori allo 0,5 per cento dei voti. Perché prima o poi gli toccherà dissociarsi, anzi ha già cominciato, e sarà bollato come codardo e venduto.

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